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Iniziamo con la frase drastica, ma vogliamo subito chiarirla.</p><p>Lo slogan preciso sarebbe “stay woke”, “rimani vigile” e nasce nel 1938 da una canzone di Lead Belly che parlava di ingiustizie sociali verso la popolazione nera negli Stati Uniti.</p><p>Ma, sempre nello stesso anno, fu ripreso dallo scrittore afroamericano William Melvin Kelley in un articolo del New York Times Magazine intitolato “if you are woke you dig it”, la cui traduzione italiana più efficace potrebbe essere “se sei sveglio lo capisci” / “se sei cosciente, vai in profondità” – il verbo “dig”, letteralmente, significherebbe scavare.</p><p>Di conseguenza, nel concreto, il termine “woke” vuol dire “vigile inteso come consapevole verso i problemi dei neri e poi esteso anche ad altre cause.</p><p>Alla luce di questa informazione, è proprio la consapevolezza a farci dire che il vero “woke” non esiste: puoi avere quanta coscienza vuoi verso le ingiustizie sociali, ma il mondo è talmente complesso che qualcosa sfugge sempre anche senza avere la volontà di ignorarlo.</p><p>Parliamo così noi per primi: cerchiamo di lavorare contro lo stigma su HIV, per le esigenze delle persone con disabilità sensoriale, ma già il fatto di pubblicare enigmi e giochi di parole nel sito ci impedisce di definirci “accessibili” perché una persona con deficit cognitivi potrebbe avere difficoltà nella comprensione dei nostri scritti.</p><p>Questo però non vuol dire, automaticamente, disinteresse deliberato verso le difficoltà di apprendimento. Idem per le lingue, non abbiamo (ancora) tradotto l’intero blog in inglese e quella è una sfida ancora aperta.</p><p>Sarebbe quindi preferibile che i singoli individui smettano di definirsi “woke”, piuttosto cerchiamo di collaborare tutti assieme per un obiettivo comune: solo uniti riusciamo, se non a sconfiggerle del tutto, almeno a gestire le ingiustizie sociali nel miglior modo possibile.</p><h2 class=\"wp-block-heading\">Cosa NON significa Woke?</h2><p>La parte conservatrice dei dibattiti on e off line, tende a usare il termine “woke” per definire qualunque idea progressista: </p><ul class=\"wp-block-list\"><li>Sei per la parità di genere? Sei woke.</li><li>Sei per i diritti LGBT? Sei woke.</li><li>Sei per il multiculturalismo, contro il razzismo, tieni alle cause ambientali, ecc? Sei woke…</li></ul><p>Hanno capito che questa non è la vera origine del termine? Non lo sappiamo, ma se gli ultraconservatori lo usano così, la colpa è di alcuni estremisti a indirizzo progressista che si attribuiscono questo nome.</p><p>“Woke” in inglese è il passato di “wake”, svegliare, e questi si atteggiano a superiori autoproclamandosi più svegli degli altri. Ma chi sono?</p><h2 class=\"wp-block-heading\">I social justice warrior</h2><p>Guerrieri della giustizia sociale: persone che agiscono in modo violento quando nello spazio reale o virtuale in cui stanno, percepiscono sia in atto un’ingiustizia. Non importa se questa sia reale, o frutto della loro mente che distorce i fatti.</p><p>Un esempio banale: fare una ramanzina infinita a una persona vedente che si sia rivolta a un cieco con “guarda”, inteso come “presta attenzione”.</p><p>Oppure quando senza capire il tono satirico del nostro sito, alcuni vengono a dirci che non dobbiamo scrivere del virus parlante e del “mondo positivo” perché secondo loro prendiamo in giro le vittime di stigma.</p><p>Parlano senza alcuna cognizione di causa, convinti di essere dalla parte della ragione, in difesa del più debole. Perché loro sono i più attenti, i superiori, gli woke appunto.</p><p>Sono indubbiamente pericolosi perché passano dalla parte del torto e finiscono per sminuire le idee progressiste che travisano ed estremizzano.</p><p>“Sei uomo? Quindi sei violento”. Una donna che si proclama femminista e parla così, non c’entra col femminismo ma è una fanatica con cui è impossibile dialogare.</p><p>Questa filosofia oltre a essere dannosa a livello sociale, lo è anche per l’arte e la cultura perché tali soggetti vorrebbero piegare il mondo alle proprie volontà.</p><h3 class=\"wp-block-heading\">La “cancel culture”</h3><p>Bristol, giugno 2020: i manifestanti Black Lives Matter, movimento per i diritti delle persone nere, hanno abbattuto la statua di un ex mercante di schiavi e buttata in un fiume – lo stesso in cui si racconta che lui facesse morire affogate le persone che si ribellavano.</p><p>Lo schiavista è Edward Colston, onorato con una scultura in bronzo che era lì dal 1895 perché coi soldi guadagnati vendendo centinaia di persone, quando lo schiavismo è stato abolito, ha costruito ospizi, ospedali e scuole.</p><p>La popolazione nera si era anche rivolta al sindaco per far rimuovere la statua ma ha deciso poi di abbatterla perché i loro appelli non avevano avuto seguito. </p><p>Ora, se per le persone bianche Colston poteva essere considerato un eroe, come possiamo pretendere che lo sia anche da quelle nere? D’accordo, lo schiavismo non c’è più, ma una comunità storicamente oppressa da quella persona, non la onorerà di certo. A maggior ragione se tu, bianco, le chiedi di farlo.</p><p>Se però questo episodio poteva avere un senso qualora la popolazione di Bristol fosse in alta percentuale composta da neri, non ce l’ha quando l’eliminazione di qualcosa viene sdoganata su larga scala: non studiare un autore classico perché va contro i valori della società contemporanea sarebbe sbagliato in quanto se noi siamo dove siamo, è per tutto quello che è successo prima. Errori compresi.</p><p>Era meglio che schiavismo, omicidi di stato, regimi autoritari non ci fossero? Certo. Ma non possiamo tornare indietro e manipolare la storia secondo quello che ci fa comodo. </p><p>Questa viene definita “cancel culture” e i conservatori, pur accusando i progressisti di modellare la storia secondo le proprie idee, sono i primi a farlo:</p><ul class=\"wp-block-list\"><li>rimuovere dalle biblioteche scolastiche libri a tema sessualità, razzismo, diritti LGBT…</li><li>evitare educazione sessuale e affettiva nelle scuole</li><li>chiedere alle aziende di ritirare spot pubblicitari che ai conservatori non piacciono.</li></ul><p>Per l’Italia riportiamo due casi emblematici della “cancel culture” conservatrice.</p><p>Una ditta di calze aveva confezionato lo spot del suo prodotto cantando “sorelle d’Italia” invece di “fratelli” in un adattamento dell’inno nazionale dedicato alle calze, gliel’hanno fatta rimuovere.</p><p>Un’altra azienda di patatine snack, nel suo spot, raffigurava un prete e una suora. Gli ultraconservatori cattolici non l’hanno presa bene e anche quello spot ha fatto una brutta fine.</p><p>Inutile quindi che loro se la piglino col sistema progressista e poi facciano di peggio, la “cancel culture” è un errore comunque.</p><h3 class=\"wp-block-heading\">Solo noi possiamo</h3><p>Esistono alcune frange di “progressismo” estremista che prendono posizione sull’abbigliamento e sui ruoli degli artisti.</p><ul class=\"wp-block-list\"><li>non sei messicano? E allora perché porti il Sombrero? “Perché sono un attore! Perché mi vesto da carnevale! Ecc…”</li><li>sei etero! Perché vuoi interpretare un ruolo gay?</li><li>solo i disabili possono parlare di disabilità</li><li>un uomo non ha diritto di esprimersi contro la violenza sulle donne</li></ul><p>E si potrebbero segnalare milioni di esempi. Ma noi, benché in totale disaccordo coi conservatori sui temi sociali, diamo loro atto quando si oppongono a un simile approccio con l’arte, la politica e la cultura.</p><h2 class=\"wp-block-heading\">Attori etero per ruoli gay?</h2><p>Un bravo attore dovrebbe essere in grado di immedesimarsi in qualunque personaggio; in teoria il concetto è assodato e ci sono vari esempi. Nessuno venga a raccontarci che Tom Hanks sia stato incapace svolgendo il ruolo di un omosessuale in AIDS terminale sul film Philadelphia, o l’uomo con un lieve ritardo cognitivo in Forrest Gump.</p><p>Cosa dire poi di Daniel Day-Lewis nel ruolo di Christy Brown, artista irlandese con disabilità motoria e cerebrale che riusciva a dipingere e scrivere usando il piede sinistro, sua unica capacità residua. Il film si chiama “Il mio piede sinistro”; l’attore non ha alcuna disabilità eppure il film è interpretato egregiamente.</p><p>Allora perché tutto questo casino sugli attori etero e i ruoli gay?</p><p>Ci sono attori etero che si sentono a disagio nel recitare un personaggio gay a causa delle scene in cui ci si bacia o si deve simulare un rapporto sessuale, e allora?</p><p>Non abbiamo una così grande conoscenza della recitazione ma siamo consapevoli che il contatto fisico corpo a corpo (anche tra uomo e donna) non sia immediato specie se hai avuto una educazione rigida in materia di sessualità.</p><p>Resta però il fatto che, quando reciti, dovresti mettere da parte la tua personalità reale con relative idee e condizionamenti, per immedesimarti nel personaggio a te assegnato.</p><p>Il discorso non era nato da etero e gay, ma da bianchi e neri: una volta i ruoli erano tutti assegnati ad attori bianchi, allora giustamente si è iniziato a dire “perché non affidare ruoli di neri anche ad attori neri?”</p><p>Ha senso quando si tratta di includere persone diverse una dall’altra in un set, ma quando diventa estremismo è più dannoso che benefico.</p><p>Basti guardare le <a href=\"https://www.cinefacts.it/cinefacts-articolo-767/le-nuove-inclusive-regole-per-gli-oscar-cambiare-tutto-per-non-cambiare-niente.html\" target=\"_blank\" rel=\"noopener nofollow\">regole per le candidature idonee all’Oscar </a>come “miglior film”.</p><p>Lo standard A, “rappresentazione sullo schermo”, vincola i produttori ad avere almeno un attore principale facente parte di un gruppo “sottorappresentato” e nei ruoli secondari questo vale per almeno il 30% degli attori. Vincoli anche nella trama che deve essere centrata su storie di persone marginalizzate.</p><p>Esistono regole simili anche nell’organizzazione fuori dal set, ma se l’intento è buono, alla lunga diventa un limite: rinuncio a un bravo attore perché al suo posto devo scegliere quello LGBT / disabile / nero / ispanico?</p><p>In realtà queste regole venivano in parte rispettate anche senza gli standard, ma se sono state decise è per porre l’attenzione su queste tematiche, anche se può apparire limitante.</p><p>Appartenendo noi per primi a gruppi marginalizzati siamo quelli che appoggiano di più le politiche di inclusione sociale, consapevoli che senza “obblighi” le case di produzione ingaggerebbero solo persone ricche bianche etero e cis. </p><p>Idem per i posti di lavoro più “ordinari”. Quale ufficio assumerebbe per scelta un impiegato con disabilità senza la legge che lo obblighi a farlo? </p><p>Eppure, prendendo in esame la faccenda degli Oscar, qualcosa ci stride: se mi costringi a concentrarmi sulle cosiddette “minoranze” per la trama, io finisco per tirarti fuori una collezione di stereotipi perché il mio compito di produttore non è fare educazione sociale, ma garantirti un prodotto vendibile alla maggioranza del pubblico.</p><p>Nessuna casa cinematografica è indifferente alle richieste del mercato, perciò se come nell’ultimo periodo l’estrema destra tende ad attirare le masse, si aggirano le regole di “diversità e inclusione” creando le macchiette. </p><p>Del fenomeno siamo testimoni dopo aver visto la <a href=\"https://plusbrothers.net/respira-medical-minestrone/\" data-type=\"post\" data-id=\"33713\">serie spagnola “Respira”</a>, su Netflix: ambientazione a sfondo medico dove quattro personaggi LGBT, due uomini e due donne, incarnano i peggiori stereotipi fra sesso promiscuo, droga e rapimenti di bambini.</p><p>In questo modo, da una parte nessuno può dire che hai disatteso le regole sulla “diversità” perché di fatto hai incluso i personaggi e/o attori LGBT; ma in contemporanea hai strizzato l’occhio al pubblico (ultra) conservatore che dalle rappresentazioni delle minoranze vuole sentire il lato negativo.</p><h2 class=\"wp-block-heading\">Vincoli e capacità</h2><p>Ci siamo domandati spesso come sarebbe un mondo in cui la creatività sia vincolata solo a chi può parlare di una condizione perché la vive in prima persona. SPOILER: un disastro.</p><p>Abbiamo verificato per esperienza quanto sia problematica una simile idea all’inizio del nostro blog, perché ci eravamo divisi i personaggi:</p><ul class=\"wp-block-list\"><li>Elettrona fa le donne e i personaggi HIV negativi</li><li>Gifter fa gli uomini e i personaggi HIV positivi.</li></ul><p>Complice la costrizione in casa per l’emergenza Covid, i primi tempi questa organizzazione dei racconti era gestibile e ci sentivamo a nostro agio scrivendo solo le storie che ci appartenevano, poi quando siamo tornati a lavorare a tempo pieno, i momenti liberi sono diminuiti.</p><p>“Gifter, oggi fai tu la storia del negativo? Elettrona, pensaci tu stasera non ho tempo / non ho voglia di dedicarmi al virus parlante”…</p><p>Di necessità abbiamo fatto virtù così, piano piano, ci siamo resi conto di esserci creati per almeno un anno un problema inesistente e siamo arrivati a un punto, oggi, dove non conta più chi scrive cosa. </p><p>Teniamo comunque a specificare che mai una volta ci siamo sentiti a disagio narrando in prima persona nei panni dei protagonisti perché l’abbiamo scelto noi. </p><p>Nessuno ci ha costretti a pubblicare sul blog di essere un tizio HIV positivo che trasmette il virus a decine di ragazze adoranti, né di essere la prediletta del tizio in questione che gli chiede il virus di proposito.</p><p>Siamo noi gli autori, non ci interessa vendere, non abbiamo vincoli commerciali e se un personaggio ci stanca possiamo tranquillamente sviluppare la trama per farlo uscire di scena. Gli unici limiti che abbiamo? La nostra fantasia e i rispettivi impegni quotidiani.</p><h2 class=\"wp-block-heading\">Voi siete woke!</h2><p>Concludiamo l’articolo porgendo le nostre doverose scuse a un lettore; l’abbiamo fatto di persona ma vogliamo anche documentarlo.</p><p>Tempo fa lui si rivolse a noi dicendoci: “voi due siete woke” e noi ci siamo chiusi rispondendogli in modo poco educato, presupponendo che intendesse l’accezione del termine usata dall’estrema destra per sminuire qualunque ideale progressista.</p><p>Chiediamo venia: da persone che lavorano per l’inclusione sociale e fanno parte di più cosiddette “minoranze”, abbiamo sempre il timore di ricevere odio da parte dei soliti noti perciò siamo sulla difensiva anche quando non dovremmo.</p><p>Stavolta invece il concetto di “woke”, pur ispirato alla sua accezione estremista, si riferiva al nostro mondo di fantasia.</p><p>Chi travisa ed estremizza le idee progressiste, sembra considerare nemici tutti quelli che non appartengono a gruppi sottorappresentati. </p><p>Di conseguenza, per il nero il bianco è il nemico, per il gay è antagonista l’etero, se sei donna ogni uomo è violento a prescindere, figuriamoci se uno è bianco, maschio, etero e cisgender. Peggio del diavolo.</p><p>Una simile concezione della vita è senza dubbio spaventosa ed è questo che i bianchi-maschi-etero-cis-conservatori temono (ben lontano dai progressisti veri, però).</p><p>Il nostro lettore comunque, prendeva spunto da quella fantomatica distopia per dare un nome al mondo che abbiamo creato, dove il test HIV negativo diventa oggetto di discriminazione, opposto a cosa succede in reale.</p><p>Non voleva criticarci, né farci passare per estremisti. Stava forse cercando di attribuire un genere ai nostri racconti?</p><p>Non importa, sapendo tutto quello che c’è in giro non vogliamo in alcun modo associarci al termine “woke”, qualunque significato si voglia dargli.</p><p>Non siamo “risvegliati” in alcun modo, non vogliamo ergerci a superiori verso nessuno. Siamo noi, coi nostri pregi e difetti. Nient’altro.</p>",
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Iniziamo con la frase drastica, ma vogliamo subito chiarirla.</p><p>Lo slogan preciso sarebbe “stay woke”, “rimani vigile” e nasce nel 1938 da una canzone di Lead Belly che parlava di ingiustizie sociali verso la popolazione nera negli Stati Uniti.</p><p>Ma, sempre nello stesso anno, fu ripreso dallo scrittore afroamericano William Melvin Kelley in un articolo del New York Times Magazine intitolato “if you are woke you dig it”, la cui traduzione italiana più efficace potrebbe essere “se sei sveglio lo capisci” / “se sei cosciente, vai in profondità” – il verbo “dig”, letteralmente, significherebbe scavare.</p><p>Di conseguenza, nel concreto, il termine “woke” vuol dire “vigile inteso come consapevole verso i problemi dei neri e poi esteso anche ad altre cause.</p><p>Alla luce di questa informazione, è proprio la consapevolezza a farci dire che il vero “woke” non esiste: puoi avere quanta coscienza vuoi verso le ingiustizie sociali, ma il mondo è talmente complesso che qualcosa sfugge sempre anche senza avere la volontà di ignorarlo.</p><p>Parliamo così noi per primi: cerchiamo di lavorare contro lo stigma su HIV, per le esigenze delle persone con disabilità sensoriale, ma già il fatto di pubblicare enigmi e giochi di parole nel sito ci impedisce di definirci “accessibili” perché una persona con deficit cognitivi potrebbe avere difficoltà nella comprensione dei nostri scritti.</p><p>Questo però non vuol dire, automaticamente, disinteresse deliberato verso le difficoltà di apprendimento. Idem per le lingue, non abbiamo (ancora) tradotto l’intero blog in inglese e quella è una sfida ancora aperta.</p><p>Sarebbe quindi preferibile che i singoli individui smettano di definirsi “woke”, piuttosto cerchiamo di collaborare tutti assieme per un obiettivo comune: solo uniti riusciamo, se non a sconfiggerle del tutto, almeno a gestire le ingiustizie sociali nel miglior modo possibile.</p><h2 class=\"wp-block-heading\">Cosa NON significa Woke?</h2><p>La parte conservatrice dei dibattiti on e off line, tende a usare il termine “woke” per definire qualunque idea progressista: </p><ul class=\"wp-block-list\"><li>Sei per la parità di genere? Sei woke.</li><li>Sei per i diritti LGBT? Sei woke.</li><li>Sei per il multiculturalismo, contro il razzismo, tieni alle cause ambientali, ecc? Sei woke…</li></ul><p>Hanno capito che questa non è la vera origine del termine? 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Non importa se questa sia reale, o frutto della loro mente che distorce i fatti.</p><p>Un esempio banale: fare una ramanzina infinita a una persona vedente che si sia rivolta a un cieco con “guarda”, inteso come “presta attenzione”.</p><p>Oppure quando senza capire il tono satirico del nostro sito, alcuni vengono a dirci che non dobbiamo scrivere del virus parlante e del “mondo positivo” perché secondo loro prendiamo in giro le vittime di stigma.</p><p>Parlano senza alcuna cognizione di causa, convinti di essere dalla parte della ragione, in difesa del più debole. Perché loro sono i più attenti, i superiori, gli woke appunto.</p><p>Sono indubbiamente pericolosi perché passano dalla parte del torto e finiscono per sminuire le idee progressiste che travisano ed estremizzano.</p><p>“Sei uomo? Quindi sei violento”. Una donna che si proclama femminista e parla così, non c’entra col femminismo ma è una fanatica con cui è impossibile dialogare.</p><p>Questa filosofia oltre a essere dannosa a livello sociale, lo è anche per l’arte e la cultura perché tali soggetti vorrebbero piegare il mondo alle proprie volontà.</p><h3 class=\"wp-block-heading\">La “cancel culture”</h3><p>Bristol, giugno 2020: i manifestanti Black Lives Matter, movimento per i diritti delle persone nere, hanno abbattuto la statua di un ex mercante di schiavi e buttata in un fiume – lo stesso in cui si racconta che lui facesse morire affogate le persone che si ribellavano.</p><p>Lo schiavista è Edward Colston, onorato con una scultura in bronzo che era lì dal 1895 perché coi soldi guadagnati vendendo centinaia di persone, quando lo schiavismo è stato abolito, ha costruito ospizi, ospedali e scuole.</p><p>La popolazione nera si era anche rivolta al sindaco per far rimuovere la statua ma ha deciso poi di abbatterla perché i loro appelli non avevano avuto seguito. </p><p>Ora, se per le persone bianche Colston poteva essere considerato un eroe, come possiamo pretendere che lo sia anche da quelle nere? 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Gli ultraconservatori cattolici non l’hanno presa bene e anche quello spot ha fatto una brutta fine.</p><p>Inutile quindi che loro se la piglino col sistema progressista e poi facciano di peggio, la “cancel culture” è un errore comunque.</p><h3 class=\"wp-block-heading\">Solo noi possiamo</h3><p>Esistono alcune frange di “progressismo” estremista che prendono posizione sull’abbigliamento e sui ruoli degli artisti.</p><ul class=\"wp-block-list\"><li>non sei messicano? E allora perché porti il Sombrero? “Perché sono un attore! Perché mi vesto da carnevale! Ecc…”</li><li>sei etero! Perché vuoi interpretare un ruolo gay?</li><li>solo i disabili possono parlare di disabilità</li><li>un uomo non ha diritto di esprimersi contro la violenza sulle donne</li></ul><p>E si potrebbero segnalare milioni di esempi. Ma noi, benché in totale disaccordo coi conservatori sui temi sociali, diamo loro atto quando si oppongono a un simile approccio con l’arte, la politica e la cultura.</p><h2 class=\"wp-block-heading\">Attori etero per ruoli gay?</h2><p>Un bravo attore dovrebbe essere in grado di immedesimarsi in qualunque personaggio; in teoria il concetto è assodato e ci sono vari esempi. Nessuno venga a raccontarci che Tom Hanks sia stato incapace svolgendo il ruolo di un omosessuale in AIDS terminale sul film Philadelphia, o l’uomo con un lieve ritardo cognitivo in Forrest Gump.</p><p>Cosa dire poi di Daniel Day-Lewis nel ruolo di Christy Brown, artista irlandese con disabilità motoria e cerebrale che riusciva a dipingere e scrivere usando il piede sinistro, sua unica capacità residua. Il film si chiama “Il mio piede sinistro”; l’attore non ha alcuna disabilità eppure il film è interpretato egregiamente.</p><p>Allora perché tutto questo casino sugli attori etero e i ruoli gay?</p><p>Ci sono attori etero che si sentono a disagio nel recitare un personaggio gay a causa delle scene in cui ci si bacia o si deve simulare un rapporto sessuale, e allora?</p><p>Non abbiamo una così grande conoscenza della recitazione ma siamo consapevoli che il contatto fisico corpo a corpo (anche tra uomo e donna) non sia immediato specie se hai avuto una educazione rigida in materia di sessualità.</p><p>Resta però il fatto che, quando reciti, dovresti mettere da parte la tua personalità reale con relative idee e condizionamenti, per immedesimarti nel personaggio a te assegnato.</p><p>Il discorso non era nato da etero e gay, ma da bianchi e neri: una volta i ruoli erano tutti assegnati ad attori bianchi, allora giustamente si è iniziato a dire “perché non affidare ruoli di neri anche ad attori neri?”</p><p>Ha senso quando si tratta di includere persone diverse una dall’altra in un set, ma quando diventa estremismo è più dannoso che benefico.</p><p>Basti guardare le <a href=\"https://www.cinefacts.it/cinefacts-articolo-767/le-nuove-inclusive-regole-per-gli-oscar-cambiare-tutto-per-non-cambiare-niente.html\" target=\"_blank\" rel=\"noopener nofollow\">regole per le candidature idonee all’Oscar </a>come “miglior film”.</p><p>Lo standard A, “rappresentazione sullo schermo”, vincola i produttori ad avere almeno un attore principale facente parte di un gruppo “sottorappresentato” e nei ruoli secondari questo vale per almeno il 30% degli attori. Vincoli anche nella trama che deve essere centrata su storie di persone marginalizzate.</p><p>Esistono regole simili anche nell’organizzazione fuori dal set, ma se l’intento è buono, alla lunga diventa un limite: rinuncio a un bravo attore perché al suo posto devo scegliere quello LGBT / disabile / nero / ispanico?</p><p>In realtà queste regole venivano in parte rispettate anche senza gli standard, ma se sono state decise è per porre l’attenzione su queste tematiche, anche se può apparire limitante.</p><p>Appartenendo noi per primi a gruppi marginalizzati siamo quelli che appoggiano di più le politiche di inclusione sociale, consapevoli che senza “obblighi” le case di produzione ingaggerebbero solo persone ricche bianche etero e cis. </p><p>Idem per i posti di lavoro più “ordinari”. Quale ufficio assumerebbe per scelta un impiegato con disabilità senza la legge che lo obblighi a farlo? </p><p>Eppure, prendendo in esame la faccenda degli Oscar, qualcosa ci stride: se mi costringi a concentrarmi sulle cosiddette “minoranze” per la trama, io finisco per tirarti fuori una collezione di stereotipi perché il mio compito di produttore non è fare educazione sociale, ma garantirti un prodotto vendibile alla maggioranza del pubblico.</p><p>Nessuna casa cinematografica è indifferente alle richieste del mercato, perciò se come nell’ultimo periodo l’estrema destra tende ad attirare le masse, si aggirano le regole di “diversità e inclusione” creando le macchiette. </p><p>Del fenomeno siamo testimoni dopo aver visto la <a href=\"https://plusbrothers.net/respira-medical-minestrone/\" data-type=\"post\" data-id=\"33713\">serie spagnola “Respira”</a>, su Netflix: ambientazione a sfondo medico dove quattro personaggi LGBT, due uomini e due donne, incarnano i peggiori stereotipi fra sesso promiscuo, droga e rapimenti di bambini.</p><p>In questo modo, da una parte nessuno può dire che hai disatteso le regole sulla “diversità” perché di fatto hai incluso i personaggi e/o attori LGBT; ma in contemporanea hai strizzato l’occhio al pubblico (ultra) conservatore che dalle rappresentazioni delle minoranze vuole sentire il lato negativo.</p><h2 class=\"wp-block-heading\">Vincoli e capacità</h2><p>Ci siamo domandati spesso come sarebbe un mondo in cui la creatività sia vincolata solo a chi può parlare di una condizione perché la vive in prima persona. SPOILER: un disastro.</p><p>Abbiamo verificato per esperienza quanto sia problematica una simile idea all’inizio del nostro blog, perché ci eravamo divisi i personaggi:</p><ul class=\"wp-block-list\"><li>Elettrona fa le donne e i personaggi HIV negativi</li><li>Gifter fa gli uomini e i personaggi HIV positivi.</li></ul><p>Complice la costrizione in casa per l’emergenza Covid, i primi tempi questa organizzazione dei racconti era gestibile e ci sentivamo a nostro agio scrivendo solo le storie che ci appartenevano, poi quando siamo tornati a lavorare a tempo pieno, i momenti liberi sono diminuiti.</p><p>“Gifter, oggi fai tu la storia del negativo? Elettrona, pensaci tu stasera non ho tempo / non ho voglia di dedicarmi al virus parlante”…</p><p>Di necessità abbiamo fatto virtù così, piano piano, ci siamo resi conto di esserci creati per almeno un anno un problema inesistente e siamo arrivati a un punto, oggi, dove non conta più chi scrive cosa. </p><p>Teniamo comunque a specificare che mai una volta ci siamo sentiti a disagio narrando in prima persona nei panni dei protagonisti perché l’abbiamo scelto noi. </p><p>Nessuno ci ha costretti a pubblicare sul blog di essere un tizio HIV positivo che trasmette il virus a decine di ragazze adoranti, né di essere la prediletta del tizio in questione che gli chiede il virus di proposito.</p><p>Siamo noi gli autori, non ci interessa vendere, non abbiamo vincoli commerciali e se un personaggio ci stanca possiamo tranquillamente sviluppare la trama per farlo uscire di scena. Gli unici limiti che abbiamo? La nostra fantasia e i rispettivi impegni quotidiani.</p><h2 class=\"wp-block-heading\">Voi siete woke!</h2><p>Concludiamo l’articolo porgendo le nostre doverose scuse a un lettore; l’abbiamo fatto di persona ma vogliamo anche documentarlo.</p><p>Tempo fa lui si rivolse a noi dicendoci: “voi due siete woke” e noi ci siamo chiusi rispondendogli in modo poco educato, presupponendo che intendesse l’accezione del termine usata dall’estrema destra per sminuire qualunque ideale progressista.</p><p>Chiediamo venia: da persone che lavorano per l’inclusione sociale e fanno parte di più cosiddette “minoranze”, abbiamo sempre il timore di ricevere odio da parte dei soliti noti perciò siamo sulla difensiva anche quando non dovremmo.</p><p>Stavolta invece il concetto di “woke”, pur ispirato alla sua accezione estremista, si riferiva al nostro mondo di fantasia.</p><p>Chi travisa ed estremizza le idee progressiste, sembra considerare nemici tutti quelli che non appartengono a gruppi sottorappresentati. </p><p>Di conseguenza, per il nero il bianco è il nemico, per il gay è antagonista l’etero, se sei donna ogni uomo è violento a prescindere, figuriamoci se uno è bianco, maschio, etero e cisgender. Peggio del diavolo.</p><p>Una simile concezione della vita è senza dubbio spaventosa ed è questo che i bianchi-maschi-etero-cis-conservatori temono (ben lontano dai progressisti veri, però).</p><p>Il nostro lettore comunque, prendeva spunto da quella fantomatica distopia per dare un nome al mondo che abbiamo creato, dove il test HIV negativo diventa oggetto di discriminazione, opposto a cosa succede in reale.</p><p>Non voleva criticarci, né farci passare per estremisti. Stava forse cercando di attribuire un genere ai nostri racconti?</p><p>Non importa, sapendo tutto quello che c’è in giro non vogliamo in alcun modo associarci al termine “woke”, qualunque significato si voglia dargli.</p><p>Non siamo “risvegliati” in alcun modo, non vogliamo ergerci a superiori verso nessuno. Siamo noi, coi nostri pregi e difetti. Nient’altro.</p>"
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